Zuzana Pernicova è stata in residenza non continuativa in due periodi a Casa Toesca (settembre – novembre 2016 / gennaio – marzo 2017).
Momento centrale della sua residenza è stata la performance “Le case di carta” (12 febbraio 2017), progettata durante la residenza in collaborazione con la giovane curatrice Martina Furno.
Sono venuta a conoscenza del lavoro di Zuzana Pernikova a seguito della sua iscrizione alla terza edizione del Premio Carlo Bonatto Minella – Art Prize CBM. Il suo lavoro è piaciuto alla giuria ed è stato selezionato tra i finalisti. In quel periodo l’artista era impegnata ad approfondire i temi della solitudine e dell’incomunicabilità. Ho subito pensato che l’esperienza della residenza d’artista a Casa Toesca avrebbe potuto essere di sostegno nel percorso artistico di Zuzana ed abbiamo con- cordato un programma che tenesse conto degli impegni lavorativi dell’artista organizzando una “residenza d’artista dei week end lunghi”. Zuzana ha preparato un progetto installativo e di performances e insieme a Martina Furno hanno messo a punto “Le case di carta” coinvolgendo alcuni soci di Areacreativa42 ed altri artisti. Durante la sua permanenza abbiamo organizzato incontri con i bambini ed i ragazzi delle scuole, con gli adulti e workshop di disegno. L’attività, in parte documentata in questo quaderno, ha avuto il consenso che ci aspettavamo: sono convinta che sarà di grande aiuto all’artista e rimarrà una esperienza molto significativa per coloro che hanno potuto viverla insieme a noi. Come in ogni residenza d’artista a Casa Toesca, l’artista arriva con il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze, s’immerge nell’atmosfera antica, esplora il territorio e si confronta con giovani curatori, studenti e con noi di Areacreativa42. E il viaggio nel mondo dell’ arte continua.
Karin Reisovà
«La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attor- no: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sé e che per voi non ha traccia né voce, e dove dunque l’estraneo siete voi».
Zuzana Pernicova è un’artista dal carattere pacato e curioso. Da anni, raccoglie nei suoi diari storie di solitudini, assenze, incomprensioni. Lo fa osservando la realtà con occhi attenti e discreti, senza presunzione o giudizio: tra queste pagine si sono stratificati veri e propri racconti, sotto forma di schizzi, abbozzi e collage, dove il mezzo grafico, schietto ed incontaminato per definizione, si è rivelato in tutta la sua forza espressiva, capace di raccogliere – con tacita violenza – frammenti di vita. L’umanità che popola questi racconti è, per l’appunto, introversa, paurosa, solitaria, troppo spesso incapace di comunicare con l’esterno. In fisica quantistica esiste una spiegazione scientifica a questo disagio: due enti non possono coesistere contemporaneamente nello stesso spazio, nello stesso tempo e nello stesso livello energetico. Se così fosse, anche nella performance “Le case di carta”, ogni persona sarebbe dovuta esistere in uno spazio diverso, in un tempo diverso e in un livello empatico diverso dagli altri. Ma ciò che la scienza non sa piegare, e che Zuzana ha scelto come oggetto d’indagine, è il dato improvviso e fortuito.
I partecipanti, di età differente, sono stati invitati a entrare dentro a dei cilindri di carta di diverse dimensioni, che nell’insieme volevano ricreare l’idea di un ambiente boschivo: ad ogni persona veniva così affidata una “casa-albero”, ciascuna esistente per sé, ma parte di un insieme unitario. Una sola la regola da rispettare: il silenzio. Forbici e carboncino alla mano, ciascuno ha iniziato a seguire i propri istinti e percezioni disegnando e ritagliando a piacimento la propria abitazione. Inizialmente, ciascuno ha cercato agio nel proprio spazio: sono nate tende beduine, castelli, sottomarini, stanze ricoperte di astronavi, mostri marini e giochi d’infanzia. Il dato sonoro, emesso dallo sfregamento del carboncino sulla superficie cartacea e dallo sferragliamento delle forbici, ha acquisito intensità in crescendo, fino al punto di “rottura”: l’imprevisto. È così che gli intraprendenti hanno cercato un’apertura: una finestra per respirare, uno strappo per fare entrare la luce, un oblò per consegnare messaggi. Qualcuno ha lanciato, con prudenza, delle palline di carta in attesa di una reazione. Un altro, con mossa azzardata e indiscreta, è evaso dal proprio cilindro squarciandolo con uno gesto liberatorio, per poi insinuarsi in quello altrui, senza temere di essere respinto. Come in ogni società, l’elemento disturbatore ha ricevuto solo parziale accoglienza, ma ha avuto il tempo e l’ardire di mettere in moto un meccanismo di “rivolta”, di generare il caos. E proprio nel disordine qualcosa ha preso forma: le relazioni, intessutesi silenziosamente come radici sotterranee, hanno creato una mappa visibile, un tracciato tortuoso ed ingarbugliato, di cui non restano che lacerti di carta ed una sensazione nell’aria che profuma di buono.
Martina Furno