ALONG THE ROAD,  SERGE VAN DE PUT

27 MARZO al 25 APRILE 2010

Mostra di sculture realizzate con ritagli di pneumatici dall’artista belga Serge Van de Put .

A cura di Karin REISOVA’ e Livio GIRIVETTO

Catalogo con testo critico di GUIDO CURTO

Una coraggiosa proposta, retta da un’ istinto per l’arte contemporanea di gran classe, ha spinto la scelta di Karin Reisovà e Livio Girivetto, promotori di artisti dall’indubbio futuro e curatori della mostra dal titolo: “ALONG THE ROAD” sculture di Serge Van de Put.

Nella settecentesca Casa Toesca è il nuovo progetto di Areacreativa42.

Le opere splendide in pneumatici e ferro dell’ artista belga, reduce da una presenza suggestiva con il suo “Elefante” fluttuante sulle acque della laguna, nella biennale veneziana del 2009, ora ospite d’onore, tra le opere esposte nella nuova mostra in Piemonte.

Uno sforzo logistico e di mezzi ha messo a dura prova la giovane realtà espositiva canavesana (l’elefante è a dimensione naturale), che con una buona dose di professionalità si è messa in competizione, con grandi gallerie italiane che in Van De Put  intuiscono le forti potenzialità creative.

Così, Karin Reisovà e Livio Girivetto, con caparbietà e passione l’hanno spuntata, ottenendo 30 opere di rara bellezza che dal 27 marzo al 25 aprile saranno esposte nel loro spazio espositivo con una personale dedicata all’artista che si snoderà tra le opere importanti che la galleria raccoglie.

Ma Areacreativa42 non è nuova alle sfide e progetti di grande interesse, la ricordiamo impegnata sul fronte storico documentale con le opere dei pittori della Torino della scuola di Felice Casorati, o con l’esposizione della delicata collezione di acqueforti di Cino Bozzetti.

Sotto c’è anche una grande passione per le svolte epocali e una cosciente consapevolezza, che in questi anni si è un po’ tutti figli, dei pensieri pop degli anni sessanta e questo porta a promuovere con successo dal designer torinese Diego Gugliermetto, (mostra del maggio 2009) dai padri nobili come la storica Gufram  al giovane e creativo Van De Put belga che modella copertoni trasformando un materiale ostico, in armoniche figure scultoree.

Da 6 marzo verrà esposto al pubblico nel giardino l”Elefante” realizzato in ritagli di pneumatici a grandezza naturale che arriva dalla Biennale di Venezia 2009 dove è stato esposto ed è presente sul catalogo generale della Biennale. Dopo una successiva tappa al Porto antico di Genova arriva ad AREACREATIVA42, nel giardino della Casa Toesca.

EVENTI COLLATERALI

Domenica 14 marzo per CIOCCOLAUTO l’elefante realizzato in ritagli di copertoni per auto sarà presente per il pubblico.

PATROCINI:

CONSOLATO GENERALE DEL BELGIO di MILANO

COMUNE DI RIVAROLO CANAVESE

 

Van De Put a cura di Guido Curto.

Chi ha visto e, perché non ammetterlo, anche apprezzato Avatar, troverà singolari affinità tra i mostruosi animali del film di James Cameron e le zoomorfe sculture dell’artista belga Serge Van de Put.

Due modi e mondi creativi che, a dire il vero, poco o nulla hanno in comune tecnicamente e stilisticamente. Avatar è un film di animazione ad altissima tecnologia e quegli strani dinosauri che vediamo sullo schermo in tre dimensioni sono immagini elettroniche puramente virtuali, mentre le opere di Van de Put sono presenze concrete, tangibili, realizzate assemblando con virtuosismo vecchi pneumatici e camere d’aria usate di auto, moto e biciclette, in una sorta di ready-made dadaista che procedendo con metodo decostruzionista, per citare Derrida, trasforma materiali dismessi, meramente funzionali e morti, in opere d’arte, connotate da una valenza estetica giocosa e un po’, per l’appunto, fantascientifica. Già perché l’ippopotamo, il toro, l’elefante, il tacchino, i cani, i cavalli, il canguro realizzati da Van de Put, e persino certi strani esseri umani, in quel loro essere confezionati con l’uso evidente di gomme nere, dal battistrada ancora ben visibile, assumono un aspetto alieno e surreale, come certi personaggi di Avatar e del cinema di fantascienza in genere. Solo che in Van de Put le figure sono isolate ed estrapolate da un contesto narrativo; infatti le si ammira, quand’anche una accanto all’altra, come presenze isolate, solitarie, che vivono autonomamente, a prescindere una dall’altra, in un contesto ambientale che le accomuna solo per il tempo dell’evento espositivo. Dopo possono essere separate e continuare da sole a vivere in un condizione che può essere non solo (e non tanto) museale, ma anche dei più svariati contesti, dalla casa d’abitazione privata all’hotel, dalla piazza al centro commerciale.

Già perché tutto il lavoro di Serge Van de Put è radicalmente antielitario e popolare. Sia per carattere sia per ideale, lui rifugge dalla situazioni rarefatte e chiuse, tipiche di certi musei e spazi espositivi d’arte contemporanea, degli algidi white cube dove s’affollano opere difficili da capire per il grande pubblico, a causa di quell’eccesso di concettualismo che inficia gran parte dell’arte ancor oggi. Lui vuole, invece, che le sue sculture possano essere apprezzate sia dall’operaio che lavora in fabbrica, magari producendo proprio quei pneumatici che sono la materia prima delle sue opere, sia dalla gente comune, di ogni provenienza sociale e d’ogni età, dai bambini agli anziani, dal ragazzo africano, asiatico, sudamericano all’intellettuale di New York e Bruxelles. E’ un’idea democratica dell’arte che trae origini, non dichiarate e forse quasi inconsce, nel New Dada e in certa Pop Art, ma che si rapporta idealmente ad una visione Situazionista dell’arte, vicinissima all’idee propugnate dal filosofo Guy Debord (Parigi 1931-1994) il quale sosteneva che tutti hanno la possibilità di essere artisti. Non a caso Van de Put è un autodidatta, che dopo aver lavorato per anni come animatore e scenografo nei Club Med si è scoperto e affrancato come artista, con la precisa volontà di essere fuori dal Sistema consolidato dell’Arte e anche da movimenti e gruppi.

Questo suo essere un cane sciolto lo può ridurre, per certa critica, al rango di dilettante e d’improvvisatore, ma, di fatto, il suo rigore lo si coglie più che dai singoli soggetti, dalla tenuta stilistica di tutto il suo percorso creativo; perché nella visione d’insieme risulta evidente uno stile omogeneo e armonioso, connotato da una tagliente ironia nei confronti dell’Art System e della nostra Società dei consumi e dello spreco. D’altro canto, la creazione di questi suoi fantasiosi bestiari può addirittura essere rapportata a certi bestiari medievali, con la solo differenza che qui l’immaginario è Post-Human. Il suo lavoro si radica, infatti, nel contesto di questa nostra era post-industriale, e la poetica dello scarto, del rifiuto recuperato e traslato in una dimensione estetica è senza forzature riconducibile al detournement teorizzato da  Guy Debord (*)

Guido Curto

* Il detournement è un metodo di straniamento che modifica il modo di vedere oggetti comunemente conosciuti, strappandoli dal loro contesto abituale e inserendoli in una nuova, inconsueta relazione per avviare un processo di riflessione critica. Questo metodo viene utilizzato in ambito visuale per mezzo di collage e montaggio, tuttavia si possono detournare anche concetti: è il caso del plagiarismo digitale e analogico della rivista americana Adbuster. (da Wikipedia)